
Fare attività fisica aiuta memoria e apprendimento?
Quali sono i benefici del movimento?
Proviamo a rispondere a questa domande…
La sedentarietà è dannosa.
Sia dal punto di vista fisico che da quello psicologico.
Gli studi correlati ai benefici del movimento sul benessere psicofisico ce lo stanno dicendo e confermando da decenni.
L’International Society of Sport Psychology (ISSP, https://www.issponline.org/index.php) ha stabilito che l’attività fisica comporta dei miglioramenti psicologici sia nel breve che nel lungo periodo.
Aumento della fiducia e della consapevolezza, miglioramento del tono dell’umore con riduzione di ansia e depressione, miglioramento della percezione di Sé, aumento dell’energia e dell’abilità nell’affrontare le attività quotidiane, maggior chiarezza mentale…solo per citare alcuni dei benefici psicologici, benefici che si riverberano persino sull’ipertensione, l’osteoporosi, il diabete e molti altri disturbi.
Da quanto emerso da uno studio dell’Università della California, pubblicato dalla rivista Plos One (https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0195549), chi trascorre troppe ore seduto (in media dalle 3 alle 7 ore) ha il lobo mediale sottile tanto più ridotto, quanto più tempo trascorre seduto.
L’assottigliamento dei lobi temporali mediali, aree del cervello responsabili della memoria e dell’apprendimento, sono soggetti normalmente all’assottigliamento con il passare del tempo, ma questo assottigliamento è maggiore in chi conduce una vita sedentaria.
La ragione, secondo i ricercatori, è che il cervello non sarebbe ossigenato a dovere quando si sta per troppo tempo fermi.
L’attività fisica costringe il corpo a respirare profondamente, cosa che non avviene quando si sta seduti per tante ore.
Solo attraverso una corretta respirazione è possibile ossigenare l’organismo e mantenere in buona salute i vasi sanguigni, favorendo la crescita di nuove cellule cerebrali.
L’attività fisica svolta successivamente, sembrerebbe tra l’altro, non essere sufficiente a recuperare gli effetti dannosi dello stare seduti per lunghi periodi di tempo.
I primi dati sugli effetti dell’attività fisica sulle abilità cognitive risalgono agli anni ’90.
Da questi studi, condotti su roditori di diverso tipo, emerse il diverso funzionamento del cervello dei topi attivi rispetto a quello dei topi meno attivi (Tong et al., 2001).
Uno studio del 1990, metteva a confronto i cervelli di ratti che erano stati allevati in condizioni di minimo stimolo motorio, con ratti che avevano avuto libero accesso a una ruota per correre, con altri che invece erano stati sottoposti ad esercizi obbligatori tu tapis roulant, con difficoltà progressivamente aumentata e infine con un gruppo sottoposto ad allenamenti acrobatici, con percorsi fatti di travi, altalene e corde a difficoltà crescente.
I topi dell’ultimo gruppo, insieme a quelli sottoposti all’allenamento con tapis roulant, avevano sviluppato una migliore irrorazione sanguigna del cervello e un aumento del numero delle sinapsi cerebrali (punti di contatto tra due cellule nervose).
L’anno successivo Fordyce e Farrar dimostrarono, sempre grazie a uno studio condotto su ratti, come l’attività fisica costantemente praticata avesse migliorato le funzioni dell’ippocampo (una parte del cervello che svolge un ruolo importante nella formazione della memoria e nella trasformazione della memoria a breve termine in memoria a lungo termine. Negli esseri umani sono presenti due ippocampi, uno in ogni emisfero del cervello, e hanno una forma curva e convoluta, che ispirò l’immagine di un cavalluccio marino e infatti il nome deriva dal greco, hippos = cavallo, kàmpe = bruco.).
Nel 1996, Neeper con i suoi collaboratori, dimostrò come l’attività fisica nei topi producesse una maggior espressione di un gene regolatore della produzione di neurotrofina BDNF (brain-derived neurotrophic factor) responsabile della crescita del sistema nervoso, aumentandone la produzione.
Cotman e Engessar-Cesar, nel 2002, pubblicarono uno studio in cui dimostrarono che la neurotrofina BDNF è direttamente coinvolta nei processi di apprendimento e di immagazzinamento di informazioni nella memoria a lungo termine.
L’esercizio fisico quindi genera una serie di vantaggi al corpo umano dovuti alla produzione di neurotrofina BDNF, dalla prevenzione dello stress cronico (Duman et al., 2006), alla depressione (Martinowich et al., 2007), dall’aumento della plasticità cerebrale (così da migliorare la resilienza – ossia la capacità di adattarsi e di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici – ad eventuali danni), alla maggiore vascolarizzazione cerebrale, dalla neurogenesi, modifiche dell’architettura neuronale e protezione dai danni cerebrali, soprattutto nell’ ippocampo, che come abbiamo visto è un’area centrale per la memoria e l’apprendimento (Cotman e Berchtold, 2003).
Nel 2006 Nelson e Gordon-Larsen pubblicarono uno studio che coinvolgeva più di undicimila adolescenti che si proponeva di studiare le relazioni tra stili di vita sedentari, attività fisica e comportamenti a rischio in età adolescenziale. Gli adolescenti più attivi negli sport non solo avevano meno possibilità di incorrere in comportamenti rischiosi (assenteismo scolastico, tabagismo, uso di sostanze stupefacenti…) ma inoltre avevano maggiori possibilità di avere alti profitti scolastici.
Uno studio svolto in Germania nel 2008 (Budde), su ragazzi tra i 13 e i 15 anni, riscontrò che attraverso una serie di esercizi di coordinazione (quindi non solo con l’esercizio aerobico) si ottenevano significativi miglioramenti ai test che valutano le capacità attentive.
L’attività fisica inoltre influisce sulla “memoria di lavoro”, ossia la facoltà di tenere a mente informazioni utili ai compiti che si stanno svolgendo e sul controllo inibitorio delle risposte inadeguate al compito, aspetti fondamentali delle capacità cognitive coinvolte nei processi di approfondimento (Scudder et al.,2015). A questo proposito, uno studio Israeliano del 2016 (Zach et Shalom) su venti adulti, ha dimostrato i miglioramenti sulla “memoria di lavoro” dopo delle sessioni di due ore di pallavolo.
Da uno studio del 2016 (Gawrilow et al.,2016) è emerso che anche solo cinque minuti di intensa attività fisica provoca un miglioramento delle funzioni esecutive anche in soggetti con disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (ADHD).
Secondo il prof. Benso (neurobiologia e neuropsicologia dell’attenzione- Università di Genova) il deficit delle prestazioni nei soggetti DSA è dovuto a debolezze del SAS (Sistema Attentivo Supervisore (SAS; Shallice, 1989)) e dei moduli da questo controllati, in particolare l’attenzione (Benso; 2005).
In neuropsicologia un modulo è un sistema automatizzato adibito ad un compito specifico.
Il processo attraverso il quale un modulo raggiunge l’automatizzazione non dipenderebbe solo da fattori ambientali e da un sistema sensoriale integro, ma dall’intervento del Sistema Attentivo Supervisore.
Sulla base di questo, nel 2004, l’autore ha istituito un protocollo di riabilitazione dei DSA e ADHD basato su esercizi atti a rafforzare le abilità cognitive di base.
Essendo la modularizzazione lo sviluppo graduale di un modulo fino alla sua maturazione e automatizzazione, le funzioni più complesse diventano efficienti quando le funzioni di supporto raggiungono un determinato livello di sviluppo.
Quindi rafforzando i moduli, viene rafforzato anche il SAS e si ottengono miglioramenti.
Alla luce di quanto detto finora, possiamo perciò rispondere alle nostre domande iniziali…l’attività motoria prevista nello sport, nelle arti e nel gioco, oltre ad essere piacevole e utile ai fini riabilitativi, favorisce l’apprendimento, migliora la memoria, più in generale ha innegabili effetti benefici sulle abilità cognitive come il problem solving, il ragionamento, il pensiero, le capacità deduttive, che coordinano le nostre conoscenze, ovvero le rappresentazioni mentali di principi, procedure e teorie di un insieme di saperi dominio-specifici, in grado di favorire l’acquisizione di maggiori capacità adattive.
Lascia un commento