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DSA: Cause, Approcci e Definizioni

Un’interessante intervista alla Dottoressa Regina Biondetti, medico e membro del Comitato scientifico-culturale del movimento Pensare Oltre, pone un’analisi molto interessante e concreta sulla questione del DSA (Acronimo che sta per Disturbi Specifici di Apprendimento).
In linea con una ricerca condotta da alcuni studiosi americani, afferma che i disturbi legati al leggere e scrivere possano essere causati proprio dalla modalità con cui si insegnano a scuola: il passaggio avvenuto in USA intorno gli anni trenta ed in Italia dagli anni ’70, dal metodo alfabetico, “cioè solo attraverso l’alfabeto, appreso in modo rigoroso, ordinato e sistematico”,al metodo Whole Word o visivo globale, “un approccio visivo e non fonetico alla lettura, considerando le parole tutte intere, insegnando a memorizzarle e riconoscerle come immagini visive”.
E’ proprio dopo questo passaggio che si sono verificati sempre più casi di questo fenomeno, ma la proliferazione dipende soprattutto dal modo con cui si è affrontato e si affronta il DSA.

Un grosso problema è che, oltre al fatto che non si sia mai dimostrata l’esistenza di questi disturbi, non si è ancora data né una definizione né un inquadramento chiaro di questo fenomeno a livello legislativo:”È una malattia? No, viene affermato che non è una malattia. Ma allora perché i bambini vengono inviati alle strutture dell’Azienda sanitaria locale, dove si curano le malattie o i loro esiti, presso il settore di neuropsichiatria infantile, che si occupa specificamente di prevenzione, diagnosi, terapia e riabilitazione delle patologie neurologiche e psichiche dell’età evolutiva?
È una disabilità? No, ci viene detto che non è una disabilità e, a riprova di ciò, per i DSA non si applica la legge 104. Si applica la legge 170. Tuttavia quando quest’ultima si riferisce ai disturbi specifici di apprendimento come causa di “una limitazione importante per alcuneattività della vita quotidiana” li definisce, in pratica, come una disabilità, dato che le limitazioni delle attività della vita quotidiana vengono rilevate dall’apposito indice ADL (Activities of Daily Living), utilizzato per misurare il grado di disabilità.
Inoltre, se non è una disabilità, perché negli USA si parla di Learning Disabilities? (…)
E questo “disturbo”, se riguarda la medicina, da cosa è provocato? È un’affezione del sistema nervoso centrale? Una malformazione? È una lesione neurologica? No, è un’alterazione neurobiologica, si dice. E che differenza c’è?
È un disagio. Certo, ma quante cose ci procurano disagio… eppure vengono affrontate in ben altro modo…
È un deficit, un difetto congenito? Una diversa abilità? No. È una neurodiversità… Ma la neurodiversità concerne ciascuno! E allora perché una neurodiversità dovrebbe essere tutelata in modo speciale se non comporta una disabilità? Insomma, da qualunque parte la si giri, la cosa sfugge.”

Il forte rischio, è che la proliferazione di questo fenomeno e la conseguente crescita delle distinzioni, nomenclature e diversità del fenomeno, portino il bambino, con la complicità della scuola, a non concentrarsi sulla risoluzione del problema ed al percorso specifico per affrontarlo, ma a nascondersi dietro l’etichetta che gli viene affibbiata: ”Queste ‘etichette’  di certo non li preservano dalle bocciature della vita. Anzi, in questo modo la scuola viene meno a una delle sue più importanti funzioni, oltre a quella di fornire conoscenze, che è quella, essenziale soprattutto in questi primi anni, di offrire una palestra in cui il bambino può esercitarsi a fare, provare e riprovare, sbagliare, correggersi, cercare un nuovo modo e ritentare… fino alla riuscita. Trovando così soddisfazione, sicurezza, fiducia in se stesso. E il modello per analoghe e più impegnative imprese future.
Una palestra dove può accorgersi che la caduta, lo sbaglio, la sanzione non sono un dramma ma, al contrario, ciò che induce il rilancio stesso. Si cade e ci si rialza. Quante volte l’ha fatto il bambino solo pochi anni prima quando imparava a camminare? E quanti innumerevoli tentativi mancati hanno preceduto la sua capacità di parlare? Perché adesso non dovrebbe essere più così?
Una palestra dove nessun bambino è escluso dall’opportunità di affrontare le difficoltà, dove non ci sono coperture materne, ripari, garanzie precostituite, giustificazioni aprioristiche, fughe… e proprio per questo ciascun bambino può sperimentarsi e riuscire. In un percorso autentico, e mai fittizio, attraverso voti, a volte belli, a volte brutti, a volte mediocri, ma sempre autentici, che danno la misura reale di ciò che è stato fatto e di ciò che occorre fare per migliorare. Va poi tenuto presente che i bambini a questa età distinguono benissimo il reale dall’immaginario, perché sono abituati a giocare, cosa che l’adulto normalmente non è più in grado di fare e finisce col credere alle proprie fantasie.
E allora non ci sono più ADHD, ma bambini da educare; non ci sono più DSA, ma le difficoltà di imparare; non più BES (Acronimo che sta per Bisogni Educativi Speciali), ma prove della vita da superare.”

Ancora una volta, ci affidiamo alle parole della Dott.ssa Biondini per capire quale possa essere l’approccio adeguato a questo percorso: ”Un bimbo si inceppa di qua, un altro di là. Occorre rispiegare, correggere, far rifare. Finché quel passaggio non è superato. Senza mai diagnosticare disturbi di apprendimento, cosa che fa credere al bambino che quel passaggio a lui sia impossibile, che non potrà mai farlo.
Non ci sono disturbi di apprendimento da diagnosticare, ma neppure differenze da “rispettare”. Gli errori di ortografia vanno corretti e ricorretti. E garbatamente sanzionati: “Riscrivi tutta la pagina!”. Lo stesso per la brutta calligrafia. Il bambino in prima elementare può iniziare a scrivere facendo un grande scarabocchio ma, in poche settimane, quello scarabocchio sarà trasformato dalle piccole dita in una bella scrittura leggibile. Però ci vuole esercizio. Gli va insegnato.
E occorre anche saper aspettare. Alcuni bambini richiedono più tempo. I bambini crescono “a scatti”, quindi anche solo aspettare qualche settimana, può contribuire a sbloccare una situazione e ripartire. Ma poi, che fretta c’è? I piccoli di sei anni hanno davanti a loro tutto il tempo del mondo. (…) Non tutti i bambini diventeranno calciatori, ma tutti hanno imparato a correre e saltare, non tutti diventeranno conferenzieri, ma tutti hanno imparato a parlare, e così non tutti diventeranno giornalisti ma tutti impareranno a scrivere, non tutti diverranno programmatori informatici, ma tutti sapranno fare le operazioni aritmetiche. Come è sempre stato. È ampiamente dimostrato che tutti i bambini, ma proprio tutti, imparano a leggere e scrivere bene, quando questo è insegnato appropriatamente.
Con gli strumenti che l’istruzione elementare fornisce loro, tutti i bambini saranno attrezzati per compiere i passi successivi, e allora sì che, un po’ alla volta, la differenza si specificherà nell’approdo di ciascuno come scrittore, violinista, calciatore … La bella differenza!”.

Fonte: http://goo.gl/PsW2Cv

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